«A Dubai gli imprenditori osano molto di più»
Dubai è una città particolarmente giovane, che però ha molto somiglianze con la Svizzera e tanto da offrire ai giovani. Ce ne parla Peter Harradine, da 22 anni presidente dello Swiss Business Council a Dubai.
È vero che la comunità dei ticinesi è cresciuta ultimamente?
«Sì, tanti ticinesi si sono spostati a Dubai e ne arrivano sempre di più. Noi rappresentiamo 300 società svizzere a Dubai e negli Emirati del Nord. Fino a cinque anni fa di ticinesi non ce n’erano, oggi sono il 15%».
Cosa è cambiato?
«Penso che arrivino perché in Ticino non succede molto. I giovani vogliono uscire e trovare lavoro e Dubai è una città piena di energia e di opportunità. È anche una città artificiale, che si odia o si ama. Tuttavia persino le donne hanno più possibilità di carriera. Cambia la cultura: a Dubai le società osano di più, mentre quelle svizzere sono più conservative».
Con quale spirito si arriva a Dubai?
«Molti ticinesi arrivano per fondare un’azienda. Temi come prevenzione e sicurezza, compliance, ambiente, blockchain, cybersecurity, bitcoin, digitalizzazione: ha buona probabilità di successo tutto ciò che è legato alla tecnologia e al mondo green. Ci sono anche gli svizzeri che arrivano come dipendenti di grosse società. Dubai di per sé ha un mercato piccolo ma ha molti dei vantaggi della Svizzera».
Ad esempio?
«Gli Emirati hanno solo 7 milioni di abitanti. Il Paese, come la Svizzera, funge da piattaforma per il business con i Paesi circostanti. C’è un governo federale e, come la Svizzera cent’anni fa, il Paese ha dimostrato un grande coraggio imprenditoriale».
Quanto è facile stabilirsi lì?
«Come azienda è molto facile. Ci sono più possibilità che in Ticino di sicuro. Il governo e la cultura incentivano molto a osare e creare. Come privato lo slogan che riassume meglio la mentalità di Dubai è «vivi e lascia vivere». Infatti il 90% della popolazione è straniera e io stesso come ticinese non mi sono mai sentito estraneo. A livello fiscale per le aziende c’è solo l’IVA del 5%. Dall’anno prossimo ci sarà anche un’imposta sul reddito, per il resto ci sono molte imposte indirette. Infine la Svizzera è molto amata, viene considerata sinonimo di qualità, puntualità e serietà».
E il Ticino invece?
«Qui siamo tutti gendarmi e parliamo tanto senza concludere molto. In Svizzera abbiamo tra le migliori scuole al mondo e non riusciamo ad approfittarne a fondo per mancanza di coraggio imprenditoriale. Sono di Caslano ed è da 50 anni che sento discutere di circonvallazione. Ancora oggi alla sera ci vuole un’ora e mezza per tornare da Lugano. Siamo prigionieri della burocrazia, figlia della democrazia che permette di litigare e bloccarsi su tutto. È vero, lì c’è solo un emiro. Però quando comanda solo uno le cose funzionano in fretta».
Lo Swiss Business Council è stato molto attivo anche nell’organizzazione dell’Expo. A pochi giorni dalla chiusura che bilancio si può tirare?
«La Svizzera ha un padiglione fantastico. Ed è anche il terzo più visitato, nonostante i finanziamenti fossero di soli 16 milioni di franchi (l’Italia ne ha investiti 30, l’Arabia Saudita 40). Le guide tra l’altro sono ticinesi!».
Come si è vissuto a Dubai negli ultimi due anni?
«La pandemia è stata gestita molto bene: dopo il lockdown della primavera 2020, da luglio si è riaperto. Le vaccinazioni sono obbligatorie, si fanno 450.000 tamponi al giorno, ma non c’è mai stato il green pass».
In conclusione, che messaggio lanciare ai ticinesi?
« Ai politici direi di lavorare maggiormente insieme, pensando più al bene del Paese che a quello del partito. E ai privati di rischiare di più e di reclamare di meno. È un peccato non sfruttare il nostro potenziale, il Ticino è un paradiso ». Erica Lanzi