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UNA NOTTE NEL PASSATO

Marco Horat

Una mostra al Museo romano di Lausanne-Vidy, aperta fino al 23 febbraio, ci porta a conoscere l’affascinante e inquietante mondo della notte, vista attraverso una lente contemporanea, ma con gli occhi degli antichi romani. «La notte regna su Lousonna», si legge nella presentazione. «Aprite la porta di una dimora romana e lasciatevi guidare all’interno dell’abitazione. Scoprirete le molte sfaccettature della notte, familiari da una parte e misteriose dall’altra». La notte, in latino Nox, che è anche il titolo dell’esposizione, al quale viene aggiunto un didascalico «au coeur de la nuit». Un cuore, come detto, dalle molte facce: Nox è personificazione della notte come attestato da autori romani, ma è anche figlia del Chaos, sorella delle Tenebre, madre del Sonno. come pure della Vendetta e della Discordia. Un insieme di elementi mitologici che riuniti svelano il lato oscuro del destino umano. È questo poliedrico personaggio che prende per mano il visitatore e lo accompagna in un viaggio attraverso le tenebre, come ci spiega la direttrice del Museo Karine Meylan. «La mostra è costruita attorno alle vestigia ancora in situ di una villa romana appartenuta a un facoltoso abitante di Lousonna, che è stata anche all’origine del museo, fondato nel 1936 e completamente ristrutturato nel 1993. L’invito è quello di fare una passeggiata all’interno di questi ambienti per rivivere una notte del passato. Spazi ricreati non scientificamente, ma in una dimensione onirica, poetica, di rievocazione, con scenari dominati da tinte blu notte». Più che descrizioni, pare di capire, vi sono suggestioni da cogliere; ma naturalmente non manca il supporto concreto dato dalla presenza di materiali archeologici, presenti lungo tutto il percorso espositivo.

«Certo. Molti dei reperti in mostra sono stati rinvenuti in loco e oggi fanno parte delle collezioni del museo. A questi ne abbiamo aggiunto altri provenienti da sette altri musei svizzeri.

Per quanto riguarda i nostri, un pezzo interessante è un calice per bere realizzato in terra sigillata, con una rappresentazione di banchetto; intorno alla tavola però sono seduti strani commensali: degli scheletri ormai ebbri. Il messaggio è chiaro: approfittate della vita perché la morte è sempre in agguato. Un memento mori di epicurea memoria; con anche riferimento a testi quali il Satyricon di Petronio che racconta di una festa in casa di Trimalcione, dove l’ospite pone sulla tavola uno scheletro d’argento in miniatura, proprio per ricordare ai commensali che l’esistenza umana è breve.

Un’allegoria che del resto ricorre spesso nella letteratura romana. Da Nyon invece ricordo solo, a mo’ di esempio, una rappresentazione di Ècate, nipote di Nox, dea della magia e delle arti notturne». Il nostro rapporto con il buio è diverso da quello che avevano i Romani. La nostra è la civiltà della luce, nel bene come nel male (pensiamo a quanto sia cambiata l’osservazione della volta celeste), mentre un tempo il concetto di illuminazione era più limitato. Il mondo passato, potremmo dire, era fisicamente più in ombra rispetto all’oggi. In altre parole mentre la nostra è una notte «scelta» per i Romani era una notte «subìta». Al di là di tutte le differenze, sono comunque rimasti dei tratti comuni tra queste due diverse situazioni? «Se paragoniamo i testi antichi e quelli moderni, e in mostra lo facciamo, si nota come in comune ci sia un sentimento universale e permanente di fascinazione nei confronti della notte. Anche se le nostre conoscenze sui fenomeni notturni sono più avanzate, non abbiamo smarrito quella dimensione di sogno e di mistero già noto agli antichi. Abbiamo la sensazione che anche noi come persone siamo diversi dal giorno alla notte, cosa che ci avvicina ai Romani. Loro avevano una visione delle cose pratica e al tempo stesso magica che sapevano far convivere nella loro cultura. Pensiamo per esempio alla medicina che i Romani conoscevano e praticavano razionalmente, ma che era accompagnata da credenze e rituali magicoreligiosi; le due pratiche, che si rapportano ai due emisferi del cervello, convivevano tranquillamente nella loro vita» conclude Karine Meylan, direttrice del museo romando.

In sintesi, che cosa indaga la mostra losannese? I rapporti tra l’essere umano e la notte all’epoca romana confrontata con quella ai nostri giorni; le conoscenze scientifiche intorno all’alternarsi tra luce e oscurità, come occupavano i Romani le ore notturne, come si combatteva ad esempio l’insonnia. Le paure e le speranze legate alla notte erano altre dalle nostre? Dite un po’ voi.

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