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Israele e la crisi energetica

L’INTERVISTA / A colloquio con l’ex ministro israeliano per le Infrastrutture energetiche

Gian Luigi Trucco

Yuval Steinitz è un politico israeliano che attualmente siede nella Knesset eletto nelle file del Likud. In passato è stato membro del governo ricoprendo la carica di ministro delle Finanze tra il 2009 e il 2013. È stato, inoltre, ministro delle Infrastrutture nazionali per le ricerche energetiche ed idriche tra il 2015 e il 2021. In questo ruolo si deve anche a lui la realizzazione di importanti piani israeliani in ambito energetico, idrico e tecnologico. A Yuval Steinitz, che è anche docente di filosofia all’Università di Haifa, abbiamo rivolto alcune domande.

La geopolitica ha cambiato anche lo scenario energetico. Come lo giudica ?

L’attuale crisi economica globale è causata principalmente da una penuria di energia. Improvvisamente tutti si rendono conto che l’energia è estremamente importante per l’industria moderna, la società moderna e la nostra vita quotidiana e come non se ne possa fare a meno. Ci si rende conto altresì che bisogna realizzare una sicurezza energetica e questo non è affatto facile. È una situazione nuova che ha avuto inizio già prima della guerra in Ucraina e che questa ha solamente accentuato. Se consideriamo ad esempio il caso di Israele e quanto accaduto negli ultimi due anni, il Paese ha risparmiato qualcosa come 60 miliardi di dollari grazie al suo gas naturale. Se dunque avessimo rinunciato a sviluppare le nostre risorse energetiche di gas avremmo speso almeno 60 o 70 miliardi di dollari in più. Questo ha fornito un contributo significativo alla crescita economica ed all’occupazione, così come allo standard di vita in generale.

Per Israele la questione della sicurezza energetica è vitale, essendo circondata da entità «non amiche». Come è stata implementata ?

Infatti, quando sono stato ministro dell’Energia, dal 2015 al 2021, ho insistito per lo sviluppo non solo di uno ma di tre bacini di gas separati nel Mediterraneo e delle relative infrastrutture diversificate, incontrando anche l’opposizione di molti ambienti. Abbiamo allestito sistemi di ampie riserve di carburanti, creando un mix di alternative nel caso accadesse qualcosa agli impianti marittimi, per un terremoto od un attacco di forze nemiche che volessero intercettare il gas. Le centrali elettriche sarebbero comunque rifornite con carburanti, ad esempio diesel, e penso che questo sistema di fonti alternative, incluso il solare, e di “ backup” sempre disponibile sia molto importante, anche se il programma di messa in sicurezza del sistema energetico è stato costoso, dell’ordine di parecchi miliardi di dollari negli ultimi 6 o 7 anni.

Per quanto riguarda l’Europa, pensa che il Mediterraneo, con Israele, Cipro, l’Egitto e il Maghreb, possa essere un fornitore rilevante, sostituendo l’export russo mancante ?

Sì e no. Possiamo essere una significativa fonte di energia, e di sicurezza energetica, per l’Europa. Penso soprattutto ad Israele e Cipro, come agli altri Paesi mediterranei. D’altro canto la risposta è anche no, nel senso che non possiamo essere un sostituto totale della Russia, considerati i volumi in gioco. Prendiamo ad esempio i dati di Israele. Finora abbiamo scoperto mille o poco più miliardi di metri cubi di gas naturale nelle nostre acque territoriali e possiamo esportarne la metà, ma questo è solo l’inizio. Secondo gli scienziati le riserve sono molto maggiori e, se le esplorazioni continuano, aumenteranno le estrazioni, da mille e tremila metri cubi, e saremo in grado di esportare di più. Ora l’export verso l’Europa avviene attraverso navi, ma il quadro cambia grazie anche alla pipeline diretta EastMed da Israele e Cipro verso l’Italia.

Vi sono voci critiche riguardo al gasdotto e ai suoi tempi di realizzazione. Cosa ne pensa ?

La Commissione energia dell’Unione europea ha già investito 100 milioni di dollari nel progetto, si sono fatti studi di fattibilità e la pianificazione è già iniziata. Oggi il gasdotto potrebbe essere già pronto, ma i tempi della politica sono stati come al solito lunghi, anche per le evoluzioni dei prezzi. Se iniziassero i lavori adesso, col supporto dell’Unione europea, della Banca europea degli investimenti e di altre entità private, sarebbe completato in 4-5 anni e potrebbe essere successivamente duplicato facilmente. Ma tutti devono agire in fretta.

Anche l’Iran si è proposto quale fornitore di gas e l’OPEC+ sta trasformando la sua politica, più condizionata dalla Russia e meno «market friendly»…

Consiglierei all’Europa di essere molto cauta nel considerare l’offerta dell’Iran, che la usa in questo momento come “leverage”. Nonostante quanto è accaduto con la Russia, fra Iran e Russia preferirei contare sulla Russia. Gli ayatollah iraniani sono irrazionali, come il passato dimostra. Comprare l’energia iraniana vorrebbe dire finanziare il loro programma nucleare, un pericolo non solo per Israele ma anche per l’Europa. Sostituire la Russia con l’Iran è semplicemente una stupidaggine. Quanto all’OPEC+ è naturalmente un player soprattutto del mercato petrolifero, ma oggi altrettanto importante perché la mancanza di gas porta molti operatori a sostituirlo col petrolio. Credo comunque che per i prossimi decenni il tema del gas rimarrà importante a livello globale e per l’Europa in particolare, nonostante lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Il Mediterraneo nuovo protagonista, dunque, ma sono possibili contese, come quelle fra Cipro e Turchia ?

Qualche Paese mediterraneo può presentare problemi di affidabilità, come l’Algeria. Per quanto riguarda il Mediterraneo orientale e la nuova pipeline, i fornitori sono nazioni democratiche, Cipro è nell’Unione europea. La pipeline è posata a due km e più sotto il livello del mare, protetta da sabotaggi ed atti di terrorismo. Persino i mezzi militari subacquei non possono raggiungere quelle profondità. Per quanto riguarda il rapporto Cipro-Turchia, penso che le divergenze saranno superate. Consideriamo comunque che Israele è il principale player dell’operazione.

E, lasciando il tema energetico, cosa dire dei colloqui in corso fra Stati Uniti e Iran ?

Sono turbato, estremamente turbato, non tanto per il fatto se si arrivi ad un accordo oppure no. Un accordo è importante se è un buon accordo, ma finora gli iraniani non sembrano interessati a firmare un accordo perché lo possono violare in ogni momento. Con l’alleggerimento della tensione del presidente Obama, il disimpegno militare, il processo di arricchimento dell’uranio è avanzato dal 20% alla soglia critica del 60%. Va usata la minaccia di un intervento militare USA ora più che mai. Questa è l’unica soluzione: se l’Iran realizza armi nucleari, immediatamente altri Stati, Turchia, Arabia Saudita, Egitto… seguiranno e cadrebbe nel vuoto l’accordo di non proliferazione. Sarebbe un disastro globale, con in ballo non solo la sicurezza di Israele ma del mondo intero.

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