«Il vero segreto di Simenon è la sua immensa umanità»
Matteo Airaghi
Potremmo definirla la «gran sacerdotessa» del culto di Simenon. Se infatti gli adepti italofoni del sommo scrittore belga possono continuare a onorare al meglio la propria «religione letteraria» buona parte del merito va alla cura che Ena Marchi, semileggendaria traduttrice ed editor di Adelphi (che del padre di Maigret detiene i dirittti nella nostra lingua), riserva ad ogni novità o ad ogni ristampa del genio di Liegi. L’abbiamo intervistata a pochi giorni dal suo arrivo a Massagno per «Tutti i colori del giallo».
Ena Marchi, editor Adelphi e curatrice delle opere di Simenon. È grazie alla sua cura che in Italia possiamo leggere le opere del grande scrittore belga. Come è nata la sua passione per questo scrittore? Era una sua lettrice, prima di essere la sua editor e traduttrice?
«Leggevo Simenon verso gli undici, dodici anni, di nascosto: mia madre lo giudicava “un po’ scabroso”, come si diceva allora, quindi mi incuriosiva ancora di più. All’epoca lo divoravo, soprattutto i Maigret; poi ho smesso, e ho ripreso a leggerlo trentadue anni fa»
Prima di essere pubblicato da Adelphi, Simenon in Italia era pubblicato da Mondadori. Ci può raccontare come è avvenuto questo passaggio? Pare che c’entri addirittura Fellini...
«Non è una leggenda. All’inizio degli anni Ottanta, dopo mezzo secolo di indefettibile fedeltà, i rapporti tra Mondadori e Simenon, che era molto esigente con i suoi editori, avevano cominciato a deteriorarsi. Roberto Calasso, che non aspettava altro, gli propose di passare con Adelphi. E fu proprio a Fellini (che Simenon aveva conosciuto nel 1960, quando da presidente della giuria del festival di Cannes era riuscito a far avere la Palma d’oro alla Dolce vita) che Simenon chiese consiglio. Lui gli rispose dicendogli di Adelphi tutto il bene possibile ».
Poi Simenon scelse nel suo testamento di essere pubblicato da Adelphi, un segnale importante per la casa editrice. Come mai vi scelse?
«Suppongo che sulla sua decisione abbiano pesato i giudizi di due amici che conoscevano bene l’Adelphi: Michael Krüger, il suo editore in lingua tedesca, e Vladimir Dimitrijevi _ , che a Losanna aveva fondato le Éditions L’Âge d’Homme. Entrambi gli avranno garantito che da Adelphi sarebbe stato pubblicato con tutta la qualità che la casa editrice assicurava ai suoi autori: qualità delle traduzioni, del lavoro redazionale, delle copertine ecc. Simenon era ancora in vita quando è scaduto il contratto con Mondadori per i romanzi senza Maigret, e per questi ha firmato lui stesso il contratto con Adelphi; pochi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1989, i suoi esecutori testamentari firmarono con Adelphi, secondo le indicazioni da lui lasciate, anche quello per i Maigret (che nel frattempo era anch’esso scaduto)».
Simenon dichiarava che l’idea per le sue storie lo raggiungeva da fatti avvenuti nella realtà. Ci racconta qual era il suo metodo di lavoro?
«In realtà, più che i fatti, a dargli la voglia di scrivere un romanzo era il riaffiorare del ricordo di un’atmosfera, in genere legata a un luogo: il Connecticut sotto una tempesta di neve, La Rochelle in un novembre piovoso, una città coloniale nel Gabon francese… A questo punto individua il protagonista giusto. Prima di cominciare a scrivere Simenon deve sapere tutto di lui: com’erano i suoi genitori, che infanzia ha avuto, dove ha vissuto, che rapporti ha avuto con le donne… E deve mettere a fuoco anche i comprimari, più o meno importanti. Questo gli servirà a immedesimarsi totalmente nei pensieri e nelle reazioni del personaggio-guida (che il racconto sia condotto alla prima a o alla terza persona non fa differenza) e a scrivere il romanzo con grande rapidità».
I personaggi di Simenon sono «segnati» dal loro passato, nella sua narrazione c’è sempre un continuo passare tra passato e presente, anzi le azioni presenti sono determinate dal loro passato. A cosa si deve questa fascinazione di Simenon per il passato?
«Più che di fascinazione sarei tentata di parlare, appunto, di determinismo: i cosiddetti romans durs, quelli senza Maigret, sono definiti dai critici “romanzi della crisi” proprio perché in genere nell’esistenza del protagonista si verifica una rottura dell’equilibrio (un equilibrio precario e spesso fittizio), che lo porterà a spogliarsi di qualsiasi maschera e a “portare fino in fondo il suo destino”, un destino che era già inscritto, appunto, in tutto ciò che aveva vissuto prima - e tranne rari casi si tratterà di un percorso fatale ».
Simenon non aveva ispirazioni «sociologiche» ma attraverso i gesti e le meschinità dei suoi personaggi descriveva la borghesia, la società contemporanea con le sue brutture. A cosa è dovuta questa sua grande capacità?
«Innanzitutto alla sua immensa curiosità, che lo ha spinto a frequentare ambienti diversissimi, a fare due volte il giro del mondo, a osservare con estrema attenzione i suoi simili. E poi all’aver messo a punto una tecnica narrativa, scevra di orpelli letterari, che gli ha consentito di mostrare senza mai giudicare, di descrivere situazioni e personaggi attraverso dettagli precisi, evocativi, a volte spietati, comunque inequivocabili ».
La lingua di Simenon è apparentemente semplice, Simenon voleva rivolgersi direttamente al lettore attraverso questa lingua fatta di un vocabolario volutamente ridotto. Crede che questo abbia inciso all’inizio sulla sua percezione del pubblico e della critica?
«Sì, senza alcun dubbio. In un’epoca in cui il confine tra “letteratura alta” e “letteratura bassa”, ossia di intrattenimento, di consumo, era netto, e invalicabile, Simenon, nonostante gli sforzi fatti da Mondadori per farlo conoscere, finì per essere solo l’autore delle inchieste di Maigret: gialli per palati facili (così, almeno, li si considerava) ».
Cosa è cambiato per determinare il successo che ha avuto?
«Negli anni Ottanta (parlo dell’Italia) quel confine era diventato molto meno netto, e quando Adelphi comincia a pubblicare i “romanzi duri” la critica e il pubblico sono pronti ad accogliere un narratore puro, straordinario, come Simenon; per giunta, che escano nella stessa collana, la Biblioteca Adelphi, in cui la casa editrice stampa i volumi di Blixen, Canetti, Cvetaeva o Valéry, costituisce una sorta di garanzia per i lettori».
Come mai ancora oggi Simenon affascina autori, cineasti, mondo culturale? Tanto che per esempio continuano a uscire film tratti dai suoi romanzi?
«Secondo me, il motivo sta nel fatto che, sia pur ambientati nella provincia francese degli anni Quaranta, o nell’Africa del colonialismo, o al confine tra gli Stati Uniti e il Messico nei primi anni Cinquanta, i romanzi di Simenon affrontano ciò che ci costituisce profondamente in quanto umani: l’amore, la gelosia, l’ambizione, la viltà, la solitudine, l’avidità, la meschinità, la dedizione, l’invidia, la paura, il rancore… ».
