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I MECCANISMI NATURALI DEL CERVELLO CHE APPRENDE

Matteo Airaghi

La stucchevole e grottesca polemichetta stagionale sull’uso dello smartphone a scuola ha almeno il merito, anno dopo anno, di rendere sempre più evidente un paio di concetti che soltanto la malafede ormai cerca di celare dietro il solito polverone sul nulla. L’aver già sacrificato sull’altare di una confusione, a volte ingenua e troppo spesso complice, una generazione intera di studenti, ovvero di giovani cervelli in formazione che apprendono le nozioni fondamentali per diventare gli adulti e i cittadini di domani, ha prodotto un collettivo rimbambimento digitale che adesso gli osservatori più attenti definiscono, con maggior raffinatezza, come la manifesta «vulnerabilità cognitiva» degli scolari contemporanei. No, ormai dovremmo averlo capito, qui non c’entra per nulla il rapporto tra tecnologia e nuove forme di didattica, qui stiamo parlando di un micidiale strumento di distrazione di massa dichiaratamente progettato, nell’interesse economico di pochissimi, per annientare la fragile capacità di concentrazione umana, fondamentale per qualsiasi forma o modalità di apprendimento. Come d’altronde è chiaro che in tutta questa celebrata tecnologia, rebus sic stantibus, sono più le cose che cediamo rispetto ai benefici che otteniamo: è comodissima

perché quello non potrà mai essere «l’ambiente» dell’apprendimento e della conoscenza.

Così dando un taglio alle chiacchiere Regno Unito, Francia, Finlandia, Svezia e Olanda, tra le altre, hanno da tempo, nel plauso generale, decretato il divieto degli smartphone a scuola così come molte città e contee degli Stati Uniti, a cominciare da New York, stanno prendendo provvedimenti in questo senso. Anzi, in un recente sondaggio quasi il 50 % degli studenti americani della cosiddetta Generazione Z (quelli cioè tra i 18 e i 27 anni, vale a dire i più travolti dalla smartphonizzazione dell’esistere) ha con candore dichiarato che sarebbe stato meglio se i social network, principale diciamo così «ragione sociale» di ogni smartphone, «non fossero mai stati inventati», riconoscendone da assidui utilizzatori gli effetti negativi sulla salute mentale e le paradossali conseguenze che «portano all’isolamento e alla disinformazione ».

Per questo, lo ripetiamo ancora una volta, se la scuola non vuole definitivamente abdicare al suo fondamentale ruolo educativo appare ovvio che gli smartphone ne debbano rimanere ben lontani e che anzi si mettano in guardia i più giovani (e vulnerabili) dai pericoli insiti nella natura stessa di quei prodigi tecnologici progettati apposta per annientare curiosità, attenzione e capacità di apprendimento. E qui scatta qualcosa di istintivo che ci rimanda ai meccanismi che il nostro cervello attiva per imparare. Con il sempre più fondato sospetto che oggi proprio perché abbiamo a disposizione di pochi clic, senza nessuna fatica e senza nessuna intermediazione, la conoscenza universale, alla fine non sappiamo e non impariamo più nulla.

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